Aggiornamento: risposta pervenuta il 6 giugno.
Non riporto il testo completo, ma la presidente, che mi scrive, fa riferimento a “Diritto di autodeterminazione”, “Diritto alla vita”, a alla “libera scelta da rispettare che riguarda la Donna e l’Operatore”. Una risposta che mi lascia con la mia rabbia, conferma i dubbi che mi hanno portato a scrivere, e a cui, sinceramente, non so proprio cosa rispondere.
Forse la strategia più intelligente e lungimirante è lasciar correre e continuare a fare, nel mio piccolo, tutto il possibile per contribuire a migliorare la condizione delle donne in Italia e tutelare il loro diritto di autodeterminarsi.
Io non obietto. Per l’anniversario della legge 194 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”) ho deciso di rivolgermi direttamente a chi mi rappresenta per sapere se la mia posizione è condivisa dalle colleghe ai piani alti.
Sono passati 11 giorni e nessuna risposta.
Sono arrabbiata perché questo silenzio rivela l’ipocrisia.
Sono arrabbiata perché questo silenzio smaschera chi, in nome di una professione, pretende di controllare le donne e i loro corpi.
Sono arrabbiata perché dietro questo silenzio si nasconde chi crede di non essere chiamata in causa.
Sono arrabbiata perché questo silenzio mi fa vergognare di appartenere a una professione che difende una cultura patriarcale, statica e restia a riconoscere le conquiste e i cambiamenti della società.
Sono arrabbiata perché questo silenzio mi fa sentire sola, tra colleghi e colleghe che non sentono doveri e responsabilità professionali.